29 maggio 2023

I documenti svelano i segreti del pittore spagnolo Diego Velazquez a Roma

Il grande pittore spagnolo Diego Velazquez (Siviglia6 giugno 1599 –Madrid6 agosto1660) venne a Roma due volte durante la sua vita. 

VELAZQUEZ IN ITALIA. Il primo viaggio in Italia risale al 1629 e durò soltanto un anno e mezzo circa. Questo fu anche uno dei momenti cruciali per lo sviluppo dello stile pittorico dell'artista spagnolo e anche della storia del mecenatismo della corona di Spagna, dato che fu Filippo IV a finanziare il viaggio. 
Il sovrano gli assegnò 400 ducati d'argento (corrispondenti a circa 2 anni di salario) a cui si aggiungono altri 200 d'oro, elargiti dal duca di Olivares, potente primo ministro.

Diego venne in Italia per fare il cosiddetto apprendistato, e per studiare sulle tele e dipinti dei grandi pittori italiani. Andò a Venezia, a conoscere Tintoretto, Tiziano e Veronese, artisti che il trentenne pittore di Siviglia scoprì di amare moltissimo, a Genova e poi a Firenze e a Roma a studiare le forme grandiose di Michelangelo e quelle più sobrie e perfette di Raffaello. 
Diego rimase abbagliato da chiese e palazzi, da giardini e antiquarie, dai pittori  della sua stessa epoca Guido Reni, Guercino, Pietro da Cortona, Nicolas Poussin e naturalmente Annibale Carracci e da Caravaggio, che già conosceva.
Venti anni dopo, quando aveva 50 anni, il pittore riuscì a fare un secondo viaggio di in Italia. In questa occasione Velazquez fu inviato a Roma dal re Filippo IV di Spagna per acquistare sculture e dipinti. E anche per reclutare un pittore di talento per abbellimenti all'Alcazar di Madrid. 
Nel 1649 Velazquez dunque si imbarcò a Malaga diretto a Genova, spostandosi poi a Milano e Venezia, dove acquistò dipinti dei più famosi pittori veneti. Poi a Modena fu ricevuto con entusiasmo dal Duca, per il quale eseguì tre ritratti, uno tuttora nella città emiliana, gli altri due ora esposti al museo di Dresda

JUAN DE CORDOBA, AGENTE SPAGNOLO A ROMA. Quando l’artista arrivò a Roma fu l'agente spagnolo 
Juan de Córdoba che gli organizzò il soggiorno. Si occupò di tutte le questione gestionali relative all'invio in Spagna delle opere d'arte, ma non solo.
Gli trovò casa a 
Palazzo Nardini in via di Parione, dietro piazza Navona, gli gestì l’agenda, gli curò gli incontri nelle varie dimore nobiliari della città, lo introdusse negli ambienti romani, gli gestì i contratti dei lavori. E non solo....
D. Velasquez,
Juan de Pareja
VELAZQUEZ A ROMA.  E così anche nella città eterna fu ricevuto con grande onore dal Papa, che gli donò una medaglia e una catena d'oro. E lo incaricò di fargli un ritratto.
Prima però, nel 1650, Velázquez dipinse lo splendido ritratto del suo servo Juan de Pareja, ora al Met di New York. Si tratta di uno dei suoi ritratti più apprezzati e conosciuti. 
Presumibilmente il quadro servì come allenamento visto che non toccava i pennelli da mesi, per prepararsi alla realizzazione dell'ancora più celebre  ritratto di Innocenzo X.

SECONDO VIAGGIO A ROMA.  Anche per Juan quel ritratto rappresentava una svolta: pochi mesi dopo, nel novembre del 1650, Velázquez decise di affrancare Juan con un atto notarile, che stabilì, come unico obbligo, quello di continuare a lavorare nel suo studio per altri quattro anni (vedi dopo). 
Proprio durante questo secondo viaggio e contemporaneamente al ritratto di De Pareja, il pittore rese libero Juan con la clausola di non scappare né compiere atti criminali per almeno quattro anni. 
L’atto, tutt’ora conservato presso l’Archivio di Stato a Roma, è intitolato Donatio libertatis.
Solo successivamente realizzò il famoso ritratto di Papa Pamphilj Innocenzo X (oggi alla Galleria Doria Pamphilj di Roma), e il pittore ne fece anche una copia, che riportò con sé in Spagna. 
Innocenzo X

A ROMA A VELAZQUEZ  NASCE UN FIGLIO. La vita a Roma scorreva così felicemente per Diego che ci vollero le ripetute sollecitazione del re Filippo IV perché riprendesse la via del rientro in patria

Velazquez rimase a Roma fino al 1651, acquisendo sempre più fama e dipingendo vari  capolavori. Frequentò molto gli ambienti filo-spagnoli, eseguendo numerosi ritratti
E proprio Juan de Córdoba si rivelò un personaggio chiave durante il soggiorno romano. Velazquez ebbe un figlio  da una donna sconosciuta, che si ipotizza sia stata la donna ritratta nel quadro conosciuto come Venere di Londra. Il pittore forse non conobbe neanche il figlio,  che si chiamava Antonio, e che fu lasciato a una balia.
Ma poichè la donna sembra lo trattasse male interverrà da Roma proprio Juan de Cordoba, che prenderà il piccolo sotto la sua custodia.
ATTI NOTARILI. Queste uniche e preziose notizie circa la vita privata di Velezquez durante il soggiorno romano, e che influirono anche sulle notizie circa la datazione delle opere romane del pittore spagnolo, sono tratte da un atto rotarile, del 13 novembre 1652, intitolato Restitutio pueri  e conservato, come quello già citato, nell'Archivio di uno dei volumi dei 30 Notai Capitolini. (Notaio Giovanni Garzia Valentino Ufficio 32). Importantissimo e ricchissimo archivio conservato presso l'Archivio di Stato di Roma.
NOTAI. Il Collegio dei Trenta notai capitolini fu istituito da Sisto V con bolla del 29 dicembre 1586 con l'obiettivo di riorganizzare l'antico Collegio dei notai capitolini. Il numero degli uffici notarili fu fissato a trenta; i notai, oltre a rogare atti per i privati, fungevano da cancellieri del tribunale del Senatore: i primi quindici uffici verbalizzavano gli atti del tribunale del Primo collaterale di Campidoglio, gli altri del Secondo collaterale.
Il più antico protocollo conservato risale al 1348 ed appartiene al notaio Johannes Nicolai Pauli [clicca qui].


Proprio dal notaio
Giovanni Garzia Valentino, probabilmente di origine spagnola, venne redatto un atto dal quale si apprende la notizia del figlio segreto di Velazquez, che forse Diego non ebbe neppure il tempo di conoscere in quanto fu richiamato in patria dal re di Spagna, ma di cui comunque, grazie agli amici e a Juan de Cordoba, rimasti a Roma, ebbe modo di interessarsi al piccolo Antonio dopo il suo rientro a Madrid.
Non solo.. lo stesso
archivio del notaio Garzia Valentino conserva un'altro atto di Velazquez
, redatto sempre in occasione di questo soggiorno romano.
Si tratta di un atto che
stabilisce la libertà per il suo servo Juan de Pereira, (Donatio libertatis), quello del ritratto, stabilendo come unico obbligo, quello di continuare a lavorare nel suo studio per altri quattro anni. 
D.Velazquez, Venere di Londra
LE CARTE D'ARCHIVIO E LA BIBLIOGRAFIA.
Cfr. Trenta Notai capitolini, Notaio Giovanni Garzia ValentinoUfficio 32, vol.155.

I documenti relativi a Velazquez "romano" sono  stati trovati e pubblicati nel 1983 da Jennifer Montagu,  Velázquez Marginalia: His Slave Juan de Pareja and His Illegitimate Son Antonio sta in The Burlington Magazine, Vol. 125, No. 968 (Nov., 1983), pp. 683-685. Cfr. anche F.Curti,  A portrait of Juan de Córdoba by Diego Velázquez, sta in The Burlington Magazine, 2019.

19 maggio 2023

Eugenio Casanova e l'Archivistica

 

Il più illustre archivista del periodo a cavallo tra la fine dell'Ottocento e gli anni Venti del Novecento fu Eugenio Casanova: passato alla storia come il "principe" degli archivisti.
Casanova nacque a Torino nel 1867. 
Fu assunto giovanissimo, a diciannove anni dall'amministrazione archivistica, con la licenza liceale, il 2 dicembre 1886, a Firenze, come alunno di prima categoria e si laureò successivamente in Giurisprudenza.  

Prima di arrivare a Roma, prestò servizio negli Archivi di Stato di Firenze, Siena, Torino dove si dedicò agli studi storici. 

Nel 1907 divenne direttore dell’Archivio di Stato di Napoli. Qui a causa del cattivo stato dei fondi archivistici, cominciò a interessarsi al riordino dei fondi del grande archivio napoletano. In ogni sede in cui veniva trasferito, Casanova si interessava delle vicende storiche locali, pubblicando vari articoli o saggi sugli aspetti sociali o storici. 

Nel 1916, morto Ernesto Ovidi, Casanova divenne direttore (soprintendente) dell’Archivio di Stato in Roma e Archivio del Regno, all'epoca uniti, incarico che tenne sino al 1933 e nel quale dimostrò le stesse capacità scientifiche e organizzative già messe in luce nella direzione dell’Archivio di Napoli.

Dopo il collocamento a riposo, continuò nell’insegnamento universitario, non più di Archivistica, ma di Sociologia, e collaborò ampiamente con Corrado Gini, preside della Facoltà di Scienze statistiche, demografiche e attuariali dell’Università di Roma e fondatore dell’Istituto centrale di Statistica, scienziato di fama mondiale. 

Morì a Roma il 22 dicembre 1951. 

SCAMBIO DI ARCHIVI. Uno primi e più importanti successi di Casanova fu l’acquisizione del ricchissimo archivio della Sacra Congregazione del Buon Governo (1588- 1847), preposta per due secoli e mezzo all’amministrazione locale dell’intero Stato pontificio, da Bologna a Benevento. Si trattò di un importante scambio con l'Archivio Segreto Vaticano, a cui furono  ceduti fondi di natura ecclesiastica. 

L'ARCHIVISTICA.  Bisogna attendere il 1925 perché proprio a Casanova sia affidato il primo insegnamento universitario di Archivistica presso la Facoltà di scienze politiche dell'Università di Roma, incarico che fu portato avanti ininterrottamente fino al 1935. Casanova è infatti considerato il padre dell'archivistica italiana. 

Grazie al suo insegnamento l’Archivistica entrò fra le materie universitarie, in particolare nella facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Roma.

Nel 1928 pubblicò la prima edizione del famoso manuale Archivistica, opera più vasta e completa della disciplina sino ad allora e punto di partenza per le successive speculazioni teoriche. Altissimo, nell'opera, il concetto dell'archivistica e dell'importanza di essa al di sopra di ogni disciplina per la formazione dei futuri archivisti. Il manuale è online  [clicca qui]


Alla collaborazione di 
Casanova e di altri archivisti si deve, fra l’altro, la pubblicazione della monumentale opera, in dieci volumi, sulle fonti archivistiche per lo studio dei problemi della popolazione sino al 1848.

GLI ARCHIVI NEI SECOLI. Nel corso di secoli, gli archivi hanno subito una profonda trasformazione passando da  strumenti di potere, cioè depositi di documenti, a cui attingevano  a piene mani sovrani, città, famiglie nobili, istituzioni ecclesiastiche, per attestare e legittimare possessi, poteri, giurisdizioni, e quindi oggetto di attenzione da parte delle autorità, che ne dichiaravano la riservatezza, a patrimonio della nazione e fonti primarie per la ricerca storica, avviandosi così al riconoscimento sempre più esplicito di beni culturali.

28 marzo 2023

Il Repertorio del personale d'archivio dal 1861 al 1946















Questa fotografia è una vera rarità. E' infatti databile fra il marzo e i primi di novembre 1919, nel periodo in cui il direttore dell'Archivio di Stato di Roma, all'epoca unito con l'Archivio del Regno, era Eugenio Casanova, anche lui ripreso nella foto. E' stata inserita nel primo dei due volumi di cui si dirà dopo e , ricordo, spiccava sul muro incorniciata alle pareti della Direzione dell'Archivio di Stato di Roma tanti  anni fa....Penso come ricordo di persone che avevano lavorato in passato nell'Istituto romano...

IL PERSONALE DELL'ARCHIVIO DI STATO IN ROMA E ARCHIVIO DEL REGNO. Sono state individuate molti delle persone fotografate: da sinistra a destra per chi guarda, in basso: Armando Lodolini (371), Vincenzo Morelli (374), Mario Cingolani (366, seminascosto), Manfredo Helminger (161), Antonio Taffetani (446), Giulio Rocco Cicchetti (137), Giovanni Maffei (409); in seconda fila, seduti, Pompeo Barbato (166, in servizio nella Sezione Archivi del Ministero dell'Interno), sig.ra Spano (non dell'Archivio), Eugenio Casanova
Armando Lodolini
(184), direttore, Giuseppe Spano, funzionario del Ministero dell'Interno preposto al settore degli Archivi, ? (non identificata; non dell'Archivio, in quanto gli Archivi non avevano personale femminile); in terza fila, in piedi, Giovanni Battista Picchiorri (203), Ermanno Loevinson (225), Emilio Re (358), ?, ? (due persone non identificate), Mario Tosi (333), fra Tosi e Tonetti si intravede un'altra persona, non identificata, Felice Tonetti (289), Guglielmo Alterocca (335), ? (non identificato), Roberto Grella (278), Paolo Schianchi (356).  
 
La fotografia è databile fra il marzo e i primi di novembre 1919, in quanto vi sono presenti Armando Lodolini all'epoca archivista, tornato alla vita civile nel marzo 1919, e Mario Cingolani, di cui il 6 novembre 1919 furono accettate le dimissioni e che successivamente fu deputato e senatore.
IL REPERTORIO. I numeri, fra parentesi,  fanno riferimento al progressivo con cui sono individuate le varie personalità elencate nel  volumi online qui sotto indicati del 
I volumi forniscono, a partire dall’unificazione dell’Amministrazione archivistica sotto il Ministero dell’Interno fino al 1958, in sintesi per i vari personaggi,  i dati sulla loro carriera e sulla loro produzione scientifica e letteraria. 
Riescono così fuori notevoli figure di archivisti. Il volume è arricchito da una interessante introduzione storico-archivistica del professore Elio Lodolini, docente universitario e già autorevole archivista di Stato e dirigente archivistico, scomparso nel marzo 2023. In essa si ripercorrono le vicende dell’Amministrazione archivistica dall’Unità d’Italia agli anni Cinquanta, con stretti riferimenti anche ai dati contenuti nel vero e proprio Repertorio.

11 febbraio 2023

Viaggiare nello Stato pontificio. Quanta povertà e disoccupazione...

Archivio di Stato
di Roma
Siamo nel 1775.  Il pontefice  e i suoi ministri sono in riunione... si parla e si discute sui temi all'ordine del giorno. E' urgente esaminare le notizie della nuova situazione creata dalle riforme avviate nel resto d’Europa e anche in alcuni Stati italiani. 
Nello Stato pontificio c'era infatti stato solo qualche modesto tentativo per i molti ostacoli che qui minavano il difficile cammino delle riforme.
E così alla fine dell'udienza la decisione è presa da Pio VI (1775-1799) - il papa nativo di Cesena  - appena eletto. 
Egli decreta un viaggio-ispezione che avrebbe portato mons. Guglielmo Pallotta, Tesoriere generale della Reverenda Camera apostolica, e il suo seguito da Roma in su, fino alle province settentrionali.
Papa Braschi  era un conoscitore delle finanze pontificie, in quanto precedentemente, nel 1766, (durante il pontificato di Clemente XIII, 1758-1769),), aveva rivestito la importante carica di Tesoriere della Reverenda Camera apostolica, cioè il Ministro delle finanze.


SCOPI DEL VIAGGIO. Scopo di questo viaggio-ispezione è dunque quello di avere informazioni precise sui  possedimenti statali (tenute, fortezze, magazzini etc.), sulla situazione delle attività manifatturiere e commerciali nelle province.
Il papa  è interessato anche a conoscere le modalità di esazione dei dazi e delle gabelle di transito interne.
Pio VI voleva che persone di sua fiducia, con precise direttive, verificassero e completassero le informazioni, già in parte in suo possesso. Queste ultime provenivano da alcuni amministratori locali, o da precedente relazioni,: da persone di cui il papa forse poco si fidava.  Di qui la necessità di un nuovo viaggio -ispezione. 
E così i risultati di queste osservazioni sono tutte in una Relazione del viaggio...per lo stato ecclesiastico conservata nell’Archivio di Stato di Roma nella fondo Camerale II.

18 gennaio 2023

Assalto a Sant'Ivo alla Sapienza. Paolo Portoghesi e gli altri..1968.

Roma, 19 febbraio 1968: con l'involontaria complicità del giovane professore Paolo Portoghesi, tre studenti chiamati gli Uccelli fanno il nido per 36 ore sulla cupola di Sant'Ivo alla Sapienza, occupando simbolicamente quella che fu la prima università della capitale. 

Si tratta di uno degli eventi che diedero il via al Sessantotto

Con l’aiuto dell' architetto Paolo Portoghesi, allora 37enne professore molto ascoltato dai protagonisti del movimento studentesco, tre studenti, Paolo Ramundo (26 anni), Gianfranco Moltedo (26) e Martino Branca (27) occuparono il 19 febbraio 1968 la cupola del Borromini, in quella che era stata la prima storica sede della Sapienza.

 I tre - soprannominati gli Uccelli per i versi che facevano durante le assemblee studentesche -  accompagnati da Portoghesi scalarono la bella cupola, passarono la notte al freddo e poi discesero il giorno dopo tra la folla degli studenti raccolti in piazza Sant’Eustachio e corso Rinascimento.

Riuscimmo a farli uscire dalle aule occupate e da quelle infinite e verbose discussioni e a portarli al centro di Roma”, ricordano - “La nostra era una rivoluzione culturale, e dove potevamo andare se non nella cupola di un architetto rivoluzionario come Borromini

Dieci giorni dopo arrivarono gli scontri di Valle Giulia che cambiarono la storia del movimento studentesco.(per saperne di più) 

Per i suoi valori artistici e simbolici, l'edificio della chiesa di Sant'Ivo  è considerato come uno dei capolavori del Barocco e della storia dell'architettura di Francesco Borromini. L'aspirazione all'infinito, la leggerezza ricreata nel globo e in quelle fiamme che, come la luce di un faro, illuminano il fedele, sono un compendio di bellezza e di ingegno. 

E proprio al culmine della cupola lassù in alto, vicino al cielo,viene ideata un’azione fino ad allora inedita. 

RINNOVAMENTO CULTURALE. E' pur vero che l'Università italiana necessitava di un cambiamento. Nel 1956 gli iscritti ai corsi di laurea erano 212mila, dieci anni dopo erano saliti a quota 425mila. Un boom. L'Ateneo d'elite era diventato di massa, grazie anche al progresso economico e ad un ritrovato ottimismo sociale. L'insegnamento era però in mano ai cosiddetti ‘baroni’, professori che spesso comparivano solo per le lezioni senza interagire con gli studenti. Infine era sottovalutata, o ignorata, l'esigenza di laboratori e seminari che preparassero gli studenti all'attività professionale.


Si sentiva la necessità di cambiare aria, di rinnovare il concetto stesso di studio, di accessibilità, di comunicazione. 

Cominciarono così le prime occupazioni: Statale di Pisa, Palazzo Campana a Torino, Cattolica di Milano, Architettura a Milano, Roma, Napoli, di Sociologia di Trento. 

In tutta europa poi si sarebbero diffusi questi fermenti che univano universitari, liceali, giovani, operai.

Guarda qui:

https://video.repubblica.it/cronaca/i-tre-uccelli-tornano-a-sant-ivo-alla-sapienza-cosi-occupammo-la-cupola-e-scoppio-il-68/297550/298168


4 gennaio 2023

Nettezza urbana nella Roma pontificia

Nei secoli passati la produzione di rifiuti urbani era nettamente minore e di altra tipologia. Comunque il problema già esisteva..e le testimonianze scritte, giunte fino a noi, riferiscono di città sporche e maleodoranti. 
Roma non era - e non è- diversa ! 
Oggi questo problema rappresenta una vera e propria emergenzaCarta, plastica, imballaggi, rifiuti organici e oggetti di tutti tipi costituiscono una difficile questione da affrontare, collegata al consumismo e allo spreco di risorse che accompagna la vita moderna.

I PONTEFICI E IL PROBLEMA DELLA MONDEZZA. Fin dai tempi antichi, i pontefici, tramite magistrature create ad hocebbero presto ben chiaro che si doveva intervenire per evitare situazioni di degrado e di pericolosìtà, che il disordine in questo aspetto della vita cittadina provocava.
Immaginiamoci una città in cui gli scarti domestici si eliminavano gettandoli dalle finestre, e figuriamoci le strade piene di sterco di animali e immondizia di ogni genere. 
Case, stalle, porcili si affacciavano in passato sulle stesse strade, sugli stessi vicoli; mancavano fognature e acqua corrente, solo pozzi e solo dal '500 il ripristino degli antichi acquedotti e la costruzione delle fontane pubbliche a Roma garantirono l’approvvigionamento d’acqua per alcune necessità del vivere giornaliero.
Un primo cenno a questo problema si trova già negli Statuti di Roma (vedi Liber Statutorum Urbis), antica raccolta organica delle norme legislative e consuetudinarie del Comune, redatti nel 1363 all'epoca in cui Roma si era organizzata appunto in un libero "comune di popolo". 
In alcuni capitoli si proibiva infatti di gettare immondezze, o parti di animali, e altri rifiuti sulle pubbliche vie, e anche di far vagare animali per la città per non  deturpare il decoro della città e avvelenare l'aria..
Maiali spazzini in epoca mediovale


Lo scarso senso civico dei romani era stato già accertato nel '400 ai tempi del papa Martino V (1417- 1431) che, nella  costituzione, «Etsi de cunctarum» menzionava, tra i motivi che lo avevano spinto ad emanarla, gli abusi gravi e ripetuti, commessi in particolare da alcune categorie di commercianti quali i macellai, i pelapiedi (chi lavorava le zampe del maiale), considerati per la tipologia di scarti che producevano, i più pericolosi per il degrado urbano. 
E così  man mano che si procede nel tempo, a Roma il problema della pulizia delle strade e piazze dai rifiuti che si accumulavano disordinatamente, comincia a diventare una faccenda seria e lo sarà per tanti secoli. 
Frattanto cresceva e si manifestava da parte delle autorità preposte una cura più attenta per la sanità pubblica e l'igiene, che, almeno stando ad alcune disposizioni, e nonostante le multe stabilite, ben poco erano percepite come problemi dal popolo romano. 

I MAESTRI DELLE STRADE SI OCCUPAVANO ANCHE DI IMMONDIZIA DAL XIV SECOLO. E così tutte queste problematiche della vita cittadina sono affidate ai maestri delle strade, che dovevano controllare maniera più diretta gli eventuali abusi commessi dai romani...
Sono loro che si dovranno occupare, fra l'altro, di controllare che si rispettino le norme  emanate per regolamentare lo smaltimento dei rifiuti. 
I Magistri inizialmente, dal 1363 (vedi il citato Liber Statutorum Urbis), hanno solo una sorta di potere di sovrintendenza e stimolo per le questioni relative ai rifiuti, poi dal '400, grazie agli statuti emanati ad hoci loro compiti si chiariscono. 
Essi dovevano far scopare e pulire le strade e portare le immondizie al fiume in immondezzari distanti dai luoghi abitati (Cap. XXIII) e  era data loro facoltà di infliggere multe ai contravventori, specie ai «facientibus sciaquatores in viis pubblicis et contra proicientes immunditias» (chi buttava acque sporche nelle vie e contro chi gettava  immondizia etc). 

Per trovare un  esplicito riferimento al problema della nettezza urbana di Roma si deve leggere l'antico statuto dei Maestri delle strade del 1452, dove, senza giri di parole, si elencano alcuni divieti precisi, in 6 diversi capitoli.  Stabbio,  letame,  bestie morte,  e mondezza  era infatti pericolosamente gettata nelle strade di Roma. E in un antico registro della Presidenza delle strade risalente al 1467 sono numerose le multe comminate per inottemperanza alle norme di nettezza urbana.

Un vero e proprio spaccato del modo di vivere quotidiano dei cittadini romani e delle loro abitudini «igieniche» risulta dalla lettura dei bandi e notificazioni delle autorità via via preposte a questo settore. 
Queste ultime non si stancarono mai di porre nuovi divieti o di confermarne gli antichi per reprimere l'uso dei cittadini di gettare acque sporche nelle vie, o di far circolare liberamente per la città suini e bovini o, in specie, di lasciare immondizie nei più disparati angoli di Roma: ancora oggi nel centro storico della città si possono vedere le targhe marmoree fatte affiggere in vari luoghi per ricordare in maniera duratura la proibizione di "fare mondezzaro".
Quel che è certo  che, dalla fine del '500 in poi, venivano  regolarmente emanati bandi ed editti (ripetuti nei secoli XVII e XVIII) dal cardinal Camerlengo e controfirmati dai Maestri delle strade  che ci riportano ad una Roma dove soprattutto le categorie degli artigiani e commercianti contribuiva a insozzare, insieme all'incuria  del popolo 
LE CARTE D'ARCHIVIO E LA BIBLIOGRAFIA. Fondamentale per seguire l'evolversi della magistratura dei Maestri di strada è l'archivio della Presidenza delle strade, conservato presso l'Archivio di Stato di Roma, e la collezione di Bandi della Biblioteca dell'Archivio di Stato di Roma.
Per la bibliografia vedi C. Scaccia Scarafoni; L'antico statuto dei "magistri stratarum..(1927), O.Verdi, Maestri di edifici e di strade a Roma nel secolo XV: Fonti e problemi (Roma nel Rinascimento - 1997)(continua).