27 settembre 2018

La pensione che non c'è. Supplica in poesia di un vecchio parroco di Genga a Leone XII

(Archivio di Stato
di Roma,  Supplica di G.Albacini)
Siamo nel 1828, a Roma sul soglio pontificio siede Leone XII (28 settembre 1823-10 febbraio 1829)al secolo Annibale della Genga
Questo papa era nato a Genga, ridente comune oggi provincia di Ancona, il  2 agosto 1760 dal conte Ilario della Genga e dalla contessa Maria Luisa Pariberti di Fabriano.
Annibale era il sesto di dieci figli. 
Ma non vogliamo raccontare del papa, altri hanno già ampiamente studiato questo pontificato così centrale nella storia della Chiesa.
Vogliamo segnalare documenti e riflessioni sulla miserabile condizione di un vecchio parroco del territorio marchigiano,  che si rivolge in modo inconsueto a Leone XII   per ottenere un sussidio. 
Insomma una storia nascosta tra le carte conservate nell'Archivio di Stato di Roma.

LE SUPPLICHE. Per qualsiasi affare per il quale non si volesse o potesse seguire il normale iter burocratico amministrativo ci si poteva rivolgere alla clemenza del Pontefice, allo scopo di ottenere un rescritto favorevole.
Inoltre al Sovrano si poteva altresì ricorrere contro provvedimenti emanati dall'autorità laica o religiosa che il ricorrente riteneva lesivi dei propri diritti o delle proprie aspettative. 

Il Pontefice esaminava il caso e di suo pugno, o dando opportune istruzioni al Segretario dei Memoriali, definiva il ricorso e il più delle volte lo rinviava all'autorità competente per l'esecuzione.

SUPPLICA SCRITTA IN RIMA. Nel 1828 a Papa Leone XII arriva, fra le tante, una supplica veramente speciale.  
Questo scritto non ha la solita forma discorsiva di uso comune: un concentrato di disgrazie, dolori, lutti, narrati al fine di muovere la benevolenza del papa, ma si tratta di un poemetto in sestine
Se singolare è la forma, il fine è invece comune: ottenere dal papa un sussidio, un aiuto economico. 
In un mondo segnato dalla precarietà, dalla mancanza di garanzie assistenziali, specie in vecchiaia quando non si poteva più lavorare, in tanti si rivolgevano direttamente al Papa. 

DON GIUSEPPE ALBACINI. Chi scrive è il sacerdote Giuseppe Albacini di Fabriano di anni 85. 
Leone XII
Albacini dichiara di essere stato già parroco di Pietrosara, frazione di Genga
Dai registri parrocchiali in effetti risulta che dal 1803 al 1820 tutti gli atti della parrocchia sono effettivamente firmati da Albacini. 
Perchè questo anziano  parroco gravato da problemi di salute e che è bravo a comporre in rima, si rivolge al pontefice Leone XII?   
Il parroco nella prima parte del poemetto denuncia tutti i suoi guai: la vecchiaia, la cecità entrambi accompagnate dall'estrema povertà. 
Per far del bene ai suoi parrocchiani, in passato ha speso tutti i suoi beni per aiutarli, ciononostante oggi, vecchio e invalido, non riceve alcuna solidarietà da parte dei più giovani...L’uomo canuto oggi così si tratta da questa ingrata sconoscente umana schiatta....Questa è solo un'amara riflessione tratta dalla supplica!
Insomma da vecchio è diventato noioso a tutti, anche a sè stesso, e viene scansato da tutti, che non mostrano nei suoi confronti alcuna riconoscenza.
(Archivio di stato di Roma, particolare
del rescritto di Leone XII))

LA MADRE DEL PAPA APPARE IN SOGNO. Dopo questa triste premessa, Albacini racconta, sempre nella supplica, di un sogno in cui gli appare Aloisia (cioè Maria Luisa), la madre del pontefice Leone XII. 
E' ipotizzabile che i due si conoscessero, in quanto il parroco riferisce, sempre nel sogno, che la nobildonna Maria Luisa gli era riconoscente per avere pregato per Lei nella messa celebrata appena dopo la sua morte.
 La madre di Leone XII ha parole di orgoglio verso quello che il papa, Vice-Dio e suo figlio, rappresenta sulla terra. 
Nel sogno del parroco Albacini, la madre del Papa ricorda anche la chiesa di Frasassi, ideata e fortemente voluta da Annibale Della Genga quando era ancora cardinale e finita di costruire nel 1827. 
La chiesa era dedicata proprio alla Madonna Madre di Dio, la cui statua era posta sull'altare della chiesa per essere venerata, e come recenti studi hanno chiarito è stata erroneamente attribuita all'architetto Giuseppe Valadier.  

Infine la nobildonna invita il povero Albacini a rivolgersi a nome suo alla grande misericordia di Leone XII per finire in dignità quel poco che gli resta
Frasassi,
chiesa di Santa Maria
da vivere.
Così il consiglio viene accolto e Albacini invia la supplica in versi al potente Papa Leone XII, denunziando la sua difficile condizione, affinchè gli conceda un sussidio per finire dignitosamente la sua esistenza, che mai avrebbe immaginato così lunga. 

LA REAZIONE DI LEONE XII. Non possiamo ovviamente conoscere la reazione di Leone XII nel leggere una supplica così speciale rispetto alle tante altre che riceveva.
Possiamo solo ipotizzare che l'intercessione della madre dovette colpirlo e produrre l'effetto sperato.
Così Leone XII scrive un rescritto di suo pugno e concede un sussidio al povero Albacini: Si vera sunt esposita, provveda il nostro tesoriere e all'oratore faccia una assegnazione che gli conceda modo di ben campare nell'ultime ore. In breve, per cena pranzo e dejner gli passi ciascun  giorno giuli tre. 

LE CARTE D'ARCHIVIO E LA BIBLIOGRAFIA. I documenti di cui si è parlato sopra sono conservati in ASR, Computisteria generale della RCA (1477-1870). 
Per le suppliche vedi ASRSegreteria dei memoriali e Dataria apostolica,1753 - 1856.
Per conoscere il progetto pluriennale che riguarda Genga e il pontificato di Leone XII, il gengarino Annibale della Genga papa dal 1823 al 1829, è possibile consultare il sito : www.sullapietradigenga.com , dove si possono scaricare i volumi già pubblicati.
In particolare per conoscere il pontificato e la figura di Leone XII vai qui [...]
Per le notizie circa il conclave del 1823 e la costruzione della Chiesa di Frasassi vai qui [...]   


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1)Ricordiamo che entrambi erano di Fabriano. 

11 settembre 2018

Caravaggio a Roma (2). Rivalità, invidia e querele fra pittori nel 1603

Caravaggio è stato un genio assoluto della pittura che ha messo in ombra tutti gli artisti della sua epoca. 
Un importante testimonianza del clima di forte conflittualità esistente fra gli artisti contemporanei a Caravaggio, che si diputavano le importanti committenze e la protezione di potenti mecenati è ancora una volta nelle carte d'archivio.

LA QUERELA DI BAGLIONE. Nell’agosto del 1603 il pittore Giovanni Baglione (Roma 1573 circa – Roma, 30 dicembre 1643) querelò i pittori CaravaggioOrazio Gentileschi e Onorio Longhi per dei versi offensivi che circolavano da mesi nella città. 

Davanti al giudice del Tribunale criminale del Governatore di Roma, il 28 agosto 1603, è registrata la querela, che vede Baglione contro l'architetto Onorio Longhi, amico personale del Caravaggio, lo stesso Caravaggio, Orazio Gentileschi e Filippo Triregni, tutti pittori. 
Baglione li accusava di aver diffuso un libello diffamatorio per rovinarlo come artista. Alcune rime erano chiaramente offensive e i componimenti poetici erano stati diffusi in molte copie in tutta Roma. 

ACCUSE INFAMANTI AI PITTORI BAGLIONE E SALINI. Con un linguaggio volgare, i poemetti satirici rivolgevano accuse pesanti a Giovanni Baglione e anche al fedele amico Tommaso Salini e alla di lui moglie: il primo veniva tacciato di incompetenza e di essere addirittura il vituperio della pittura, mentre Salini - soprannominato "l'angelo custode" di Baglione - era accusato di essere una malalingua, di parlare male di tutti gli artisti eccetto Baglione e, in buona sostanza, di essere il suo tirapiedi. 
A detta dei due pittori l'invidia – cinque volte compare la parola nelle dichiarazioni dei due – ne era il motore, le committenze lo scopo.

Da notare che nel processo tutti i pittori si dichiararono incapaci di scrivere, e preferirono passare da ignoranti per sostenere di non aver scritto il libello.  

Orazio Gentileschi
IL PROCESSO E IL GIUDIZIO DI CARAVAGGIO SUI PITTORI. Nelle carte del processo, conservato nell'Archivio di Stato di Roma e mostrato in occasione della Mostra "Caravaggio a Roma. Una vita dal vero" per la seconda volta (la prima fu a Milano nel 1951), sono conservati i documenti sequestrati, la querela, le testimonianze, gli interrogatori di Gentileschi e Caravaggio.

Caravaggio fu arrestato e scarcerato a condizione che non si allontanasse dalla abitazione senza permesso (fino al 25 ottobre). 

Chiamato  per l'interrogatorio dal giudice Tomassino, a Caravaggio viene  subito chiesto un generico giudizio sui pittori attivi a Roma. 
Il giudice, in modo subdolo, vorrebbe avere un giudizio su Baglione: il carcere e il rischio di una pena pecuniaria avrebbero potuto addomesticare, condizionare Caravaggio e portarlo a moderazione. 
All’inizio Caravaggio sembra mettere Baglione tra i valentuomini:   

Io credo cognoscere quasi tutti li pittori di Roma et cominciando dalli valent’huomini io cognosco Gioseffe, il Caraccio, il Zucchero, il Pomarancio, il Gentileschi, Prospero, Giovanni Andrea, Giovanni Baglione, Gismondo et Giorgio Todesco, il Tempesta et altri.  

Ma non tutti gli amici di Caravaggio sono valentuomini cioè bravi pittori !
E così su precisa domanda del giudice sia Baglione che Gentileschi repentinamente scompaiono dall’elenco.
Caravaggio consegna alla storia un giudizio  sulla pittura da lui  apprezzata:

...Quella parola, valent’huomo, appresso di me vuol dire che sappi far bene, cioè sappi far bene dell’arte sua, così un pittore valent’huomo, che sappi depinger bene et imitar bene le cose naturali...

E altrettanto incisivo è il giudizio di Caravaggio sui buoni e sui cattivi pittori:

Li valent’huomini sono quelli che si intendono della pittura et giudicaranno buoni pittori quelli che ho giudicato io buoni et cattivi; ma quelli che sono cattivi pittori et ignoranti giudicaranno per buoni pittori gl’ignoranti come sono loro
Delli pictori che ho nominati per buoni pittori Gioseffe, il Zuccaro, il Pomarancio, et Annibale Caraccio, et gl’altri non li tengo per valent’huomini. M’è ben scordato de dirvi che Antonio Tempesta ancora quello è valent’huomo...


Particolarmente duro è il giudizio di Merisi sul pittore Tommaso Salini:
 ...Può essere che se diletti et che impiastri lui ancora, ma io non ho mai visto opera nessuna d’esso Mao..

LE POESIE CONTRO BAGLIONI. Fra le carte del processo sono agli atti le due poesie offensive scritte contro Giovanni Baglione, pittore, come già detto, disprezzato da Caravaggio.
La prima poesia recita così:

Gioan Bagaglia tu non sai un ah
le tue pitture sono pituresse
volo vedere con esse
che non guadagnarai
mai una patacca
che di cotanto panno
da farti un paro di bragesse
che ad ognun mostrarai
quel che fa la cacca
porta là adunque
i tuoi desegni e cartoni
che tu ai fatto a Andrea pizicarolo
veramente forbetene il culo
alla moglie di Mao turegli la potta
che [...] con quel suo cazzon
da mulo più non la fotte
perdonami dipintore se io non ti adulo
che della collana che tu porti indegno sei
et della pittura vituperio.

Segue la seconda poesia:
Gian Coglion senza dubio dir si puole
quel che biasimar si mette altrui
che può cento anni esser mastro di lui.
Nella pittura intendo la mia prole
poi che pittor si vol chiamar colui
che non può star per macinar con lui.
I color non ha mastro nel numero
si sfaciatamente nominar si vole
si sa pur il proverbio che si dice
che chi lodar si vole si maledice.
Io non son uso lavarmi la bocca
né meno di inalzar quel che non merta
come fa l’idol suo che è cosa certa.
Se io mettermi volesse a ragionar
delle scaure fatte da questui
non bastarian interi un mese o dui.
Vieni un po’ qua tu ch’e vò’ biasimare
l’altrui pitture et sai pur che le tue
si stano in casa tua a’ chiodi ancora
vergognandoti tu mostrarle fuora.
Infatti i’ vo’ l’impresa abandonare
che sento che mi abonda tal materia
massime s’intrassi ne la catena
d’oro che al collo indegnamente porta
che credo certo meglio se io non erro
a piè gle ne staria una di ferro.
Di tutto quel che ha detto con passione
per certo gli è perché credo beuto
avesse certo come è suo doùto
altrimente ei saria un becco fotuto.

Leggi i documenti [...] 
Per saperne di più sulla vicenda del processo [...]

Leggi altri capitoli 
1. Caravaggio a Roma (1). Nuovi documenti cambiano dettagli della sua vita. 

4.>>Caravaggio a Roma (4). Inquilino difficile che non pagava affitto e rompeva i soffitti. clicca qui>>